Il filo e la matassa. Paesaggi storico-geografici

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Descrizione

Il filo e la matassa è soprattutto una storia della geografia italiana ed europea per mappe, attraversamenti e connessioni interdisciplinari, per racconti, generazioni e biografie non soltanto di geografi. Insieme alla storia e a un’idea alta di politica, il paesaggio è il filo che permette di sbrogliare la matassa. In questa prospettiva il saggio vuole essere un cannocchiale sui problemi che fondano la geografia di oggi e di ieri. Oggi la geografia è Cenerentola più fra le scienze naturali che fra le scienze umane. Fra queste ultime ha un ruolo che per effetto della cosiddetta “svolta spaziale” è sempre più rilevante. Anche se non sempre riconosciuto, il suo metodo è praticato da storici e archeologi, da economisti e urbanisti, da antropologi e sociologi, in misura non inferiore all’uso che la geografia fa del metodo e delle principali categorie delle medesime scienze umane e in maniera meno diretta delle scienze naturali. Il suo maggiore merito e compito anche per io futuro è di fare del paesaggio e del territorio il crocevia necessario delle scienze umane. In un’epoca in cui la globalizzazione dei mercati e la finanziarizzazione dell’economia sembrano voler relegare le nostre esistenze ed esperienze in spazi non solo eterodiretti ma anche astratti e virtuali, c’è bisogno di un sapere concreto e legato alla terra. C’è bisogno di geografia. I geografi non possono perdere anche questa occasione e ricongiungersi idealmente con quanto Diderot ebbe a scrivere nell’articolo Uomo dell’Encyclopédie: “Non vi sono vere ricchezze oltre l’uomo e la terra. L’uomo non vale niente senza la terra, e la terra non vale niente senza l’uomo”. Non per caso Elisée Reclus ha intitolato L’uomo e la Terra il monumento finale della sua opera di geografo e che solo oggi riconosciamo come un classico. Ripercorre la vicenda della geografia italiana ed europea negli ultimi due secoli nasce dalla consapevolezza che se oggi riusciamo a guardare lontano, nel futuro, è perché siamo seduti sulle spalle larghe dei giganti del passato e ci muoviamo ancora nel mondo con le loro gambe.

 

Nota biografica

Massimo Quaini (1941-2017), professore ordinario prima a Bari, poi a Genova, è uno dei massimi geografi italiani. Ha partecipato intensamente alla stagione, aperta da Lucio Gambi, del rinnovamento della geografia italiana. I suoi studi hanno riguardato l’intero ventaglio disciplinare, dalla riflessione teorica alla valenze applicative. Giovanissimo, si è dedicato alle implicazioni geografiche del marxismo, filone sfociato nella pubblicazione di Marxismo e geografia (1974), poi tradotto in diverse lingue. Fondamentale il suo contributo alla storia della geografia, alla storia del viaggio, alla storia della cartografia. Ha fatto della sua Liguria il proprio cantiere di ricerca privilegiato, mettendo in connessione fonti d’archivio e fonti di terreno, saperi dotti e saperi vernacolari. In tale prospettiva ha diretto, con la collaborazione di Diego Moreno e altri colleghi, il Dottorato di ricerca in Geografia storica per la valorizzazione del patrimonio storico ambientale. Si è inoltre cimentato nella pianificazione territoriale, iscrivendo il proprio lavoro nell’orizzonte concettuale della Società dei Territorialisti.

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